Il festival si propone di registrare le voci del profondo, viscere o memorie che siano. Vi presta ascolto elencandole una ad una. La voce della poesia, tanto per cominciare. Per seguire con la voce ancestrale, con quella dei fantasmi, la voce perduta, la voce della memoria e quella della coscienza. Tutte possibilmente in solo, nude e crude, senza distrazioni. Così nasce l’idea di "solos", plurale di una parola semanticamente singolare, un palindromo che può essere letto anche sottosopra. Daltronde il solo è una condizione che è sempre la stessa da qualsiasi punto la guardi. Il naturale prolungamento di questo percorso sarà affidato inevitabilmente agli echi, la coda del suono.
SOLOS è una rassegna di “solo” ispirata al Dio del vulcano, solitario per eccellenza. Ma è solo l'inizio.
Incastonato tra due parole (Etcetera Festival) giace l’acronimo-dedica a sottolineare l’interesse per ciò che si agita dentro, quel buio panorama interiore appena rischiarato dall’incandescenza. Una radiografia più che una fotografia. L’attività occultata alla vista dalla rappresentazione pittoresca. I temi delle rassegne sono per diverse ragioni legati all’invisibile “manifesto”. A partire dalla scrittura, dalla sua crosta, l’alfabeto, che continua incredibilmente a celare significati infuocati, costringendoci a riformulare l’abituale paesaggio pensato. Spingendosi fino al più articolato parallelismo con un’altra isola similarmente opposta alla nostra, la terra del ghiaccio temperato, la terra del bianco colorato da muschi e cambiamenti. Una terra animata da presenze invisibili, così come la nostra da fantasmi d’ogni dove. Entrambe terminali dello stesso colossale edificio vulcanico.
Il festival ha una durata di vent'anni + uno. L’idea che muove il festival è molto semplice: tratteggiare l’identità del continuo movimento. Irregolare, ostinatamente indecisa, libera e inafferrabile al pari della fiamma che anima il fuoco, cui non a caso si ispira. Un’idea lasciata covare sotto le ceneri dei tentativi, e che s’intende ravvivare e alimentare con regolare aritmia, nella speranza che la temperatura delle proposte ne mantenga inalterata la purezza. L’inferno, ormai è chiaro, non si trova nelle viscere del vulcano, ma alle sue pendici, ordinato e regolato da una fede degenerativa particolarmente diffusa, la malafede.
Il festival si propone di registrare le voci del profondo, viscere o memoria che siano. La voce, la lingua, le parole e, non ultima, la scrittura, la più solitaria delle pratiche comunicative. Gli eventi sono capitoli complementari della stessa sostanza: l’espressione. Destinato a chi dispone della disponibilità: all’ascolto, requisito indispensabile alla comunicazione che nel canto, nella musica o nelle emozioni trova canali naturalmente privilegiati, al pari del mare. Forse è vivere il vulcano, sempre a contatto con le sue bocche, che rende l’argomentazione istintivamente familiare. L’Etna parla la lingua madre della natura. Un linguaggio che comprende i tre tempi della vita, in contraddittoria simbiosi. Il dorso dei vulcani fa sembrare la terra una balena che respira nell’universo. Sbuffando lapilli, pixel di materia, realtà visibile. Non a caso il festival è dedicato a Efesto e alle sue scintille. Liberi frammenti incandescenti che da oggi evocheremo per nome, ricevendo in risposta la voce. Inizia così l’attività spettacolare della Etcetera! Avvampa anch’essa di sacro entusiasmo (in omaggio alla divinità pietrificata) che brucia nell’impossibile ambizione di tratteggiare la dinamica: immediatamente riconoscibile benché irregolare, libera e inafferrabile, della fiamma che anima il fuoco. Si ispira in egual misura alle radici e ai fiori, variopinti e pirotecnici, fuochi naturali che esplodono silenziosi a poca distanza dal suolo, rasoterra, ciclicamente. Il calendario è una corolla composta da singoli petali in autonoma relazione, struggenti Saturni di polline i cui anelli portano incisa la storia, disco che leggiamo seguendo il filo del discorso come puntine di grammofono. Il testo scritto, attraverso la musica, si traduce in oralità. La scelta di musicare le parole restituisce i racconti alla loro dimensione più congeniale, la tradizione orale. Una tradizione quotidianamente rinnovata per il continuo innesto d’invenzioni, la cui memoria giunge fino a noi con i Cantastorie e i parlatori dell’Opera dei Pupi, moderni trovatori. Fiabe, ninne-nanne, filastrocche, racconti, legende, poesie: tutte le storie, per sopravvivere, hanno bisogno di essere raccontate.
Sommario sommario
LA VOCE
LA VOCE DELLA POESIA
LA VOCE DELLA MEMORIA
LA VOCE DEI FANTASMI
LA VOCE DEL TEMPO
LA VOCE DELL’INIZIO
LA VOCE DEL DESTINO
LA VOCE DEL MARE
LA VOCE DEL PROFONDO
LA VOCE DELLA TERRA
LA VOCE DEI MORTI
LA VOCE DELLA COSCIENZA
LA VOCE DELLE NUVOLE
LA VOCE DEI SOGNI
LA VOCE SENZA
LE CORDE (NODI, INTRECCI E FILI)
LE CORDE DELL'IMMAGINAZIONE
LE CORDE DEL MITO
LE CORDE ANCESTRALI
LE CORDE DELLA NATURALEZZA
LE CORDE DELLA TRADIZIONE
LE CORDE DEGLI IMPICCATI